L’agente di polizia, Vincenzo Fabio Li Muli è ricordato per aver perso la vita nell’attentato, in cui morì il magistrato Paolo Borsellino.
Vincenzo Fabio Li Muli è morto a soli 22 anni, il 19 luglio 1992, vittima della strage di via D’Amelio, l’attentato mafioso in cui persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Approfondiamo la sua conoscenza.
Biografia, carriera e vita privata di Vincenzo Fabio Li Muli
Nato a Palermo il 15 ottobre 1969, sotto il segno della Bilancia, Vincenzo Fabio Li Muli, chiamato affettuosamente “Enzo” da familiari ed amici, è cresciuto a Palermo in una famiglia unita e modesta. Era il maggiore di tre figli, con due sorelle più piccole, Sabrina ed un’altra sorella di cui si hanno meno informazioni pubbliche.
Entrato in polizia dopo aver conseguito il diploma all’istituto industriale, era animato da un forte senso di giustizia ed orgoglio per la sua divisa. Sognava di sposarsi con la sua fidanzata, Victoria, ed aveva progetti per il futuro.
Sabrina ha raccontato che il fratello era molto innamorato e parlava spesso della sua relazione, segno di una vita privata piena di speranze e sogni. Ma la sua vita fu tragicamente interrotta dall’esplosione di una Fiat 126 imbottita di circa 90 kg di tritolo, parcheggiata sotto l’abitazione della madre di Borsellino in via Mariano D’Amelio a Palermo, il 19 luglio 1992. Era il più giovane della scorta di Borsellino.
La strage di via D’Amelio
Il 19 luglio 1992, il giovane agente siciliano era di servizio in via D’Amelio, sotto l’abitazione della madre di Paolo Borsellino, quando un’autobomba contenente circa 90 kg di tritolo esplose, uccidendo il magistrato e cinque agenti. Oltre a Vincenzo, persero la vita: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
L’unico sopravvissuto della scorta fu Antonino Vullo, ferito gravemente, e che si trovava a bordo di un’auto blindata. L’esplosione fu così potente da lasciare un cratere nella strada, danneggiar edifici circostanti e causare uno shock collettivo in tutta Italia. La famiglia delle vittime appresero della loro morte dal telegiornale, senza essere avvisate direttamente.
L’attentato è considerato uno degli episodi più gravi della storia del nostro Paese, parte della strategia di attacco frontale di Cosa Nostra contro lo Stato, culminata negli anni delle stragi mafiose (1992-1993). La strage avvenne meno di due mesi dopo l’attentato di Capaci (23 maggio 1992), in cui furono uccisi: il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della sua scorta.
Questo periodo, noto come la stagione delle stragi, fu caratterizzato dall’offensiva di Cosa Nostra, guidata da Totò Riina, contro le istituzioni italiane per indebolire la lotta alla mafia. Borsellino, amico e collega di Falcone, era un simbolo del contrasto alla criminalità organizzata, grazie al suo lavoro nel pool antimafia ed alle indagini sul maxi-processo di Palermo, che aveva portato a centinaia di condanne di mafiosi. Dopo Capaci, Borsellino era consapevole di essere un “bersaglio”. Lavorava sotto pressione, con la certezza che la mafia stesse pianificando un attentato contro di lui. Nonostante ciò, continuò le sue indagini, concentrandosi sui mandanti delle stragi, e sui legami tra mafia e poteri occulti.
Le indagini sulla strage di via D’Amelio
Le indagini sulla strage di via D’Amelio hanno subito gravi depistaggi, considerati uno dei peggiori scandali giudiziari della storia italiana. Inizialmente, le indagini si basarono sulle dichiarazioni di falsi pentiti, come Vincenzo Scarantino, che portarono a condanne di persone innocenti. Solo anni dopo, grazie alle rivelazioni di pentiti credibili come Gaspare Spatuzza, emerse la verità. Scarantino mentì, indotto da settori corrotti delle istituzioni. Si verificò una piena manipolazione delle indagini per coprire i veri responsabili.
Le indagini successive hanno confermato che la strage fu organizzata da Cosa Nostra, con il coinvolgimento diretto di boss come: Totò Riina, Bernardo Provenzano ed i fratelli Graviano. Ma si sono anche fatte strada altre ipotesi di complicità esterne, con possibili collegamenti a settori dello Stato, servizi segreti corrotti ed ambienti politici, nell’ambito della cosiddetta trattativa Stato-mafia.
Borsellino stava indagando su questi legami e sulla gestione dell’agenda rossa, un documento in cui annotava informazioni sensibili, scomparso misteriosamente dopo l’attentato. Con la riapertura delle indagini, nel 2008, ci fu la revisione di alcune condanne, e l’individuazione di nuovi responsabili. Tuttavia, la verità completa sui mandanti esterni e sui depistaggi non è ancora emersa del tutto, alimentando il dolore dei familiari delle vittime, come la sorella di Vincenzo Li Muli, Sabrina, che ha denunciato il tradimento dello Stato.
Curiosità su Vincenzo Fabio Li Muli
– La sorella Sabrina, che aveva 14 anni al momento della morte di Enzo, ha condiviso ricordi toccanti su di lui, descrivendolo come un ragazzo gentile, protettivo e profondamente legato alla famiglia.
– La sorella, ha ricordato come Vincenzo fosse diventato più pensieroso dopo la strage di Capaci (23 maggio 1992), che stroncò la vita di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della sua scorta, consapevole del pericolo che correva scortando Borsellino. L’agente non parlava apertamente delle sue paure, ma pochi giorni prima della strage chiese alla sorella più piccola di recitare insieme il Padre Nostro, a testimonianza della sua inquietudine.
– La sua vita, breve ma intensa, si è contraddistinta per un forte senso del dovere, e per il grande impegno nella lotta contro la mafia, in un contesto storico in cui la Sicilia era teatro di una guerra tra lo Stato e Cosa Nostra.
– Vincenzo Li Muli è ricordato come un esempio di dedizione e coraggio, un giovane che ha sacrificato la vita per il suo dovere, proteggendo un simbolo della lotta alla mafia. La sua memoria è celebrata insieme a quella degli altri agenti e di Borsellino in commemorazioni annuali, come quelle organizzate dalla Polizia di Stato e da associazioni antimafia.
– La morte di Borsellino e della sua scorta, è diventata un simbolo del sacrificio di chi ha combattuto la mafia senza compromessi. Ogni anno, il 19 luglio, a Palermo ed in altre città italiane si tengono commemorazioni, anche organizzate dai familiari delle vittime e da associazioni antimafia. A Vincenzo ed ai suoi colleghi hanno dedicato: monumenti, vie e iniziative, come “Il Giardino della Memoria”, a Palermo.